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La tsachà | 04 maggio 2025, 17:45

PDHAE: l’umiliazione oltre la sconfitta. Quando il calcio diventa sciacallaggio

Con soli 6 punti in classifica e un abisso di 82 gol di differenza reti, il PDHAE chiude un campionato di Eccellenza che grida vendetta. Ma il vero scandalo non sono i numeri: è l’uso sistematico e irresponsabile di giovani atleti mandati al massacro, in un contesto tecnico inesistente. Questo non è sport. È un abuso condito con cinismo sportivo

PDHAE: l’umiliazione oltre la sconfitta. Quando il calcio diventa sciacallaggio

Si è chiuso poche ore fa il campionato di Eccellenza Piemonte, girone A. Ma più che un epilogo sportivo, quello del PDHAE è stato il funerale di un’idea di calcio e il tradimento più ignobile dello spirito sportivo. Sei punti, 19 gol segnati, 101 subiti. Differenza reti: -82. No, non è una statistica da videogame in modalità “difficile”. È la radiografia reale di una stagione scellerata.

Quella che avrebbe dovuto essere una palestra di crescita è diventata un mattatoio sportivo. E non si dica che “l’importante è partecipare”, perché Pierre de Coubertin, oggi, si starà rigirando nella tomba. Qui non si è partecipato: si è stati sacrificati, esposti alla pubblica umiliazione, senza strumenti, senza paracadute, senza dignità. A farne le spese, ancora una volta, sono stati giovani calciatori trattati come carne da macello, gettati su un campo senza rete, senza guida e – cosa ancora più grave – senza progetto.

Il PDHAE non è solo retrocesso. È imploso. E nel farlo ha trascinato con sé il senso stesso dell’etica sportiva. Due retrocessioni in due anni, ma stavolta la botta è stata etica prima ancora che tecnica.

Secondo alcuni esperti di settore, interpellati a margine della stagione, questo disastro “è il prodotto inevitabile di una gestione disordinata, autoreferenziale e, nel peggiore dei casi, cinicamente calcolata”. Una voce autorevole del calcio valdostano e non solo, ha commentato: “In trent’anni non ho mai visto una società allestire una squadra così fragile e inesperta per un campionato così competitivo. È come mandare un liceale a combattere in prima linea. Crudele, irresponsabile, e perfino pericoloso”.

La domanda è: chi ha permesso questo scempio? Chi ha autorizzato, chi ha vigilato, chi ha fatto finta di non vedere? Dove sono le federazioni, i comitati regionali, i distributori di contributi pubblici – che in Valle d’Aosta non mancano mai – quando le società di calcio si trasformano in centrali di smistamento per illusioni giovanili?

È lecito chiedersi se qualcuno non stia usando il calcio giovanile per scopi extracalcistici. Non è una provocazione, ma un atto di denuncia civile. Non si può liquidare tutto come “una stagione storta”. Qui siamo davanti a una stagione di violenza morale. Perché prendere ragazzi, vestirli con una divisa e mandarli in campo a prendere 6-0 ogni domenica, non è formativo: è distruttivo.

E allora no, non si può restare in silenzio. Non può farlo la politica sportiva regionale, troppo spesso pronta a finanziare con leggerezza e senza controlli. Non può farlo la Valle d’Aosta che ama lo sport. E soprattutto, non possono farlo le famiglie di quei ragazzi, che li hanno visti tornare a casa ogni settimana con la testa bassa e il cuore svuotato.

In questo disastro c’è un solo elemento che si salva: il coraggio di chi ha resistito, di chi ha giocato, di chi nonostante tutto ha indossato la maglia fino all’ultima giornata. A loro va il rispetto. Agli altri, a chi ha gestito e organizzato, va il giudizio della coscienza sportiva collettiva.

Serve una resa dei conti. Serve una rifondazione. E serve subito. Altrimenti il prossimo anno non resterà più nulla da salvare, nemmeno l’onore.

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