Finalmente si è scoperchiato il vaso. Un nuovo, ma non troppo, movimento si segnala nel mondo del calcio, quello dei genitori apprendisti procuratori, una nuova classe di talent scout "fai da te". Quelli che infatuati dalle gesta dei campioni da copertina manovrano i loro pargoli come icone da play station, quelli che vanno in massa agli allenamenti, alle partite, quelli che pretendono prestazioni super portando il calcio collettivo dei ragazzini a spezzarsi in 11 individualità dove ognuno gioca per piacere ai propri genitori. il loro obiettivo è vedere la progenie, secondo loro sicuri predestinati,vestire maglie prestigiose, di Società blasonate dove la visibilità è sicuramente appagante quanto le agognate capacità. Delirio. Poter postare la foto che immortala il pargolo che "firma il primo cartellino con una Società professionistica" provoca un orgasmo esistenziale a familiari e prossimi. E' la stella polare dei loro sogni.Ma spesso, quasi sempre, sono solo voli pindarici e l'inghippo è evidente. E dove c'è l'uva (aspettativa mal riposta), ci stanno le volpi. Un classico del sottobosco calcistico.Volteggiano i facilitatori di lungo corso. I pifferai. Per loro fare intraprendere il viaggio della speranza il talento non è più bagaglio essenziale, la disponibilità pecuniaria del genitore ambizioso e allocco si. Il posto al sole anche se non lo si merita, lo si può patteggiare perchè i mercanti di sogno esistono. Eccome.Questione di cifre. E' così, è comprovato da recenti importanti, circostanziati reportage nazionali , dall' esperienze di tanti ragazzi aspiranti campioni che hanno subito queste laceranti disillusioni che hanno segnato negativamente financo le loro esistenze. Credetemi. Attenzione però, generalizzare sarebbe colpire il movimento calcistico con la stessa bassezza che caratterizza certe deprecabili organizzazioni. Il calcio rimane lo sport più amato e praticato nel mondo. Lingua universale che unifica e denunciare, rimarcare e combattere queste devianze é un obbligo.
Gentile Lettore,
finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di dirlo. Con parole semplici e crude è stato scoperchiato un vaso colmo di ipocrisie, illusioni e fallimenti taciuti. Il calcio giovanile, che dovrebbe essere terreno fertile di gioco, crescita e amicizia, è diventato troppo spesso il laboratorio tossico di genitori frustrati che usano i figli come pedine di riscatto sociale, sfogo di ambizioni mancate, trofei da esibire sui social. Sono gli "agenti fai da te", i talent scout improvvisati, che portano in campo non solo i figli, ma il proprio ego e il proprio portafogli. Inseguono visibilità, prestigio, status. E poco importa se, nel farlo, spezzano la leggerezza dell’infanzia, avvelenano lo spogliatoio, rubano sogni e serenità.
Ma dove finisce la proiezione malata, comincia il business. E allora entrano in scena i mercanti di illusioni, i pifferai del sottobosco calcistico, quelli che promettono palcoscenici in cambio di assegni. E il talento? Spesso non serve. Basta che il genitore sia disposto a pagare. È un sistema malato, già denunciato da inchieste giornalistiche serie e approfondite, ma ancora troppo tollerato, quasi normalizzato.
Denunciare questo scempio non significa attaccare il calcio, anzi. È un atto d’amore verso lo sport più bello del mondo. Chi ama davvero il calcio deve proteggere i bambini, restituire il gioco ai ragazzi, ridare credibilità a un movimento che, nella sua parte sana e pulita, resta una scuola di vita e di valori. Ma è arrivato il tempo di alzare la voce. Di dire basta con forza. Perché se non lo facciamo oggi, rischiamo di perderlo per sempre. pi.mi.